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Danza

Nella multiforme e significativa presenza di artisti russi che furono a Milano nella prima metà del ‘900, il balletto ricopre un ruolo centrale. La rivoluzione coreutica che, all’inizio del secolo, era stata portata in tutta Europa dai Ballets russes di Sergej Djagilev e dalla compagnia di Ida Rubinštein giunse anche sul palcoscenico del Piermarini, con opere di grandissimo spessore e una vera pletora di talenti straordinari in tutti i campi, dai ballerini – la Nižinskaja, la Probraženskaja, la Spesivceva, Fokin, Balanchine, Lifar, Massine – molti dei quali spesso anche coreografi – agli scenografi: i due Benois, certo, ma anche Bakst e la Gončarova.
Fu grazie a questa esotica ventata di energia e innovazione che anche alla Scala, ancora fedele al gusto tradizionale che tanta gloria le aveva portato, il significato dei termini “balletto” e “danza” furono per sempre mutati. Basti pensare a titoli rivoluzionari come l’Uccello di fuoco, la Sagra della Primavera, Petruška, Bolero. O a capolavori mai più usciti dal repertorio – della Scala, e di tutti i teatri del mondo – come lo Schiaccianoci, il Lago dei cigni, La bella addormentata nel bosco.

E anche quando, dopo la guerra, si uscì dal clima di chiusura dei decenni precedenti, ecco di nuovo i grandi titoli del passato e, soprattutto, ecco i nomi dei grandi ballerini di allora tornare come coreografi delle più grandi compagnie del mondo: il New York City Ballet di Balanchine, l’Opéra de Paris di Lifar e, infine, il Royal Ballet di Rudolf Nureyev.

Un filo ininterrotto, quello che lega Milano alla danza russa, che ancor oggi è forte e vitale.

 

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